Un importante santuario sannitico sorgeva in
località Civitella, a sud dell'attuale abitato di Campochiaro,
addossato al declivio del monte e a circa mt. 800 d'altitudine. Dominava
la piana attraversata dalla strada Bovianum-Saepinum, distanti rispettivamente
5 ed 8 km. Il sito deve essere identificato con la località che
compare sulla "Tabula Peutingeriana" a 6 miglia da Saepinum,
con il nome di Hercul(is) Rani.
Abbiamo dunque un santuario di Ercole il cui nome era seguito da un
aggettivo che ci è pervenuto nella forma "Rani", forse
corrotta.
Potrebbe essere lo stesso epiteto della divinità che ci è
noto a Sulmona nel santuario di Hercules Cannes, e in tal caso sarebbe
da collegare con il nome del locale torrente Quirino, o Curino. Benché
possibile, questa interpretazione non è tuttavia ancora suffragata
da elementi positivi.
La documentazione archeologica dimostra che il santuario perdette ogni
importanza e cadde in abbandono dopo la guerra sociale, per tutto il
primo secolo d.C. Ciò è da mettere in connessione non
tanto con le vicende della guerra sociale e con i danni che ne potettero
derivare, quanto con la cessazione ufficiale del culto, fino a quel
momento sostenuto dallo stato sannitico. Il riordinamento amministrativo
del territorio, dopo la sua annessione allo stato romano, condusse al
declassamento di tutti quegli insediamenti, compresi i santuari, ai
quali non venne attribuita la costituzione municipale. Il culto che
si praticava nel santuario, in quanto fonte di ricchezza (decime, donazioni)
e oggetto di investimenti pubblici e privati per il potenziamento edilizio,
dovette essere soppresso e trasferito nel municipio più vicino,
a Bovianum, non diversamente da quanto avvenne per il più grande
santuario di Pietrabbondante (pro fanatio dei sacra publica). Una ripresa
di più modeste attività appare documentata sul luogo dai
materiali archeologici a partire dal I secolo d.C., soprattutto dalla
metà del secolo in poi con un particolare sviluppo nel III e
nel IV secolo d.C., senza che tuttavia vi fosse alcun intervento edilizio.
Ciò giustifica la registrazione del sito sugli itinerari, e in
particolare della sua mutatio sulla strada Bovianum-Saepinum in coincidenza
con le diramazioni trasversali. Il curioso Herculis Rani è infatti
il toponimo che il luogo manteneva o con qualche modificazione aveva
assunto nel I secolo d.C., senza che ciò presupponga di fatto
la riorganizzazione del culto in età imperiale. In questo periodo,
dunque, l'area del santuario non era più sede di un importante
culto di carattere pubblico, come in epoca sannitica.
Il santuario occupa un'area di forma quasi triangolare,
ampia circa mt. 150x125, sostenuta da un muraglione in opera poligonale
che, sul lato occidentale, prosegue a monte per alcune centinaia di
metri in modo da impedire ogni accesso dall'alto. Il muro che delimita
il lato orientale dell'area sacra, dove si doveva trovare l'ingresso
principale, è formato con grossi blocchi poligonali lavorati
con tecnica raffinata e con intento di decoro monumentale. E' stato
scavato uno degli ingressi, sul lato occidentale, largo mt. 3,70 e coperto
in origine da una volta costruita con conci di pietra. Uno dei blocchi
è contrassegnato con la lettera H dell'alfabeto osco.
L'area triangolare delimitata dal recinto è divisa in due terrazze
da uno stretto edificio a due navate che si estende per una lunghezza
di oltre mt. 80, costruito in modo da raccordare con un prospetto architettonico
il dislivello esistente tra la terrazza inferiore, quella orientale,
e l'altra su cui si trovava il tempio. Si tratta probabilmente di un
porticato costruito prima del tempio, che non ne rispetta l'orientamento.
All'epoca della costruzione del tempio si dovranno attribuire forse
le modifiche apportate a questo edificio per rinforzarne la stabilità.
La terrazza orientale non è stata ancora scavata, mentre è
stato messo in luce il basamento del tempio, sul ripiano superiore,
e di alcuni edifici minori. Del tempio resta solamente la parte inferiore
del basamento, che misura mt. 15,30 di larghezza e mt. 21,30 di lunghezza,
a cui è da aggiungere un'ampia gradinata frontale di cui sono
riconoscibili le fondazioni. Dinanzi alla gradinata sono i resti di
una piattaforma, destinata a sostenere un'ara.
Il tempio ha un orientamento a est/sud-est, fortemente vincolato da
esigenze rituali. Era prostilo, probabilmente tetrastilo, di ordine
ionico, con decorazioni di terracotta applicate alle trabeazioni lignee
e al tetto.
All'interno del basamento, al di sotto dell'originario piano di calpestio
non più conservato, sono state scoperte due strutture di estremo
interesse perché connesse con i riti di fondazione e di inaugurazione
del tempio.
La prima si trova al centro della cella, ed è costituita da un
agglomerato di malta e pietrisco largo cm. 80 ed alto cm. 60, con una
cavità riempita di cenere; sparse intorno vi erano monete di
bronzo posteriori alla metà del II secolo a.C. La seconda si
trova al centro del pronao e consiste in un pozzo dal diametro di circa
cm. 80, con le pareti di pietra murate a secco. Le caratteristiche costruttive
indicano che esso non poté avere altra utilizzazione che quella
di ricettacolo di offerte, certamente in occasione dell'inaugurazione
(oppure della consacrazione) e forse anche successivamente in occasioni
periodiche. L'edificio si data nella seconda metà del II secolo
a.C., probabilmente intorno al decennio 130-120 a.C.
Ad esso e alle altre costruzioni innalzate o trasformate nello stesso
periodo, quali il grande porticato, si devono riferire numerose tegole
contrassegnate con nomi di magistrati, perché prodotte da officine
pubbliche, che dimostrano come gli interventi edilizi fossero attuati
a spese dello stato sannitico.
Il tempio insiste su un'area occupata precedentemente da altri edifici,
di cui sono stati scoperti pochi resti. L'angolo nord-occidentale si
sovrappone infatti a un portico, forse del III secolo a.C. che seguiva
l'orientamento del muro occidentale del santuario. Se ne conosce l'ampiezza,
di circa tre metri; del colonnato restano 4 basi con interasse di tre
metri.
Dietro il tempio vi è un altro edificio minore (mt. 3,80x6,70
circa) di datazione incerta, ma comunque posteriore al portico, che
venne infatti manomesso per innalzare la nuova costruzione. Privo di
fondazioni e accostato al tempio, questo edificio non poteva svilupparsi
molto in elevato. Al suo interno si sono trovati, raccolti in una fossa,
materiali del III e del II secolo a.C.
Oggetti del tutto simili, ma in quantità maggiore, con presenza
di frammenti architettonici, si sono rinvenuti in una fossa quadrangolare
scavata nella breccia e rivestita di muri a secco presso il lato settentrionale
del tempio. In ambedue i casi si tratta di materiale di pertinenza sacra,
radunato e sepolto in occasione del nuovo assetto edilizio del santuario
nella seconda metà del II secolo a.C.
Carattere molto diverso ha invece una deposizione di vasellame acromo
e a vernice nera avvenuta intorno agli anni 250-225 a.C, in una fossa
scavata nella ghiaia. Abbiamo in questo caso pochi tipi di vasi (contenitori
di bevande e coppe) presenti in un elevato numero di esemplari, che
costituiscono gli avanzi di una determinata cerimonia rituale celebrata
da molte persone.
Tra i materiali rinvenuti nel santuario vi sono alcuni frammenti di
statuette di Ercole e due frammenti di iscrizioni osche. Una di queste,
per quanto mal ridotta, consente di riconoscere la dedica di una statua,
"segunum", da parte di un personaggio, ùv(is) s[],
in cui si può forse individuare il nome di Ovio Staio.
Fonte: http://www.sanniti.info/smhercul.html